La Specola di Bologna

12 - L'Accademia dell'Istituto delle Scienze e la costruzione del nuovo Osservatorio.

Le osservazioni di Manfredi rivolte alla scoperta di un moto annuo delle stelle "fisse", con cui poter fornire una verifica sperimentale della rotazione della Terra intorno al Sole e quindi della validità del sistema copernicano, furono improvvisamente interrotte, come abbiamo ricordato, dalla lite del conte Luigi Ferdinando Marsili con i familiari riguardo alla donazione alla cittadinanza bolognese delle proprie collezioni scientifiche e di parte del palazzo che le ospitava. Il Senato bolognese riuscì a dissuadere Marsili dall'idea di portare fuori Bologna strumenti e collezioni, accettando la garanzia richiesta che
"gli fosse dato un luogo bastevole e conveniente a farne la distribuzione; che si formasse un elaboratorio chimico; stanze a proposito si destinassero ad una copiosa libreria; fosse eretta una specola; assegnati stipendi per li professori; stabiliti fondi per la provvista di libri, e di macchine per gli esperimenti fisici" (83).
L'accordo era subordinato al consenso della Santa Sede e ad un suo impegno finanziario, il che spinse Marsili a recarsi a Roma per mettere in opera "tutti i mezzi più efficaci...per questo fine" (84). Fu in questa occasione che fece ritrarre dal pittore Donato Creti (1671-1749) i principali strumenti della Specola Marsiliana, in una serie di otto quadretti che mostravano gli astronomi intenti ad osservare i pianeti, per farne dono a papa Clemente XI (1649-1721) (85). Il Papa contribuì all'operazione con 2400 scudi e finalmente, l'11 gennaio 1712, fu stilato l'atto notarile della donazione dalla quale nacque L'Istituto delle Scienze di Bologna. Il palazzo prescelto per alloggiarlo fu quello della famiglia Poggi, la cui collocazione, allora piuttosto periferica, ne rendeva il prezzo sufficientemente equo e la cui distanza dalle colline non precludeva alcuna parte considerevole di cielo alle osservazioni astronomiche.

Successivi contributi, sempre sollecitati da Marsili, pervennero all'Istituto dalle autorità ecclesiastiche, sia in denaro che in strumenti. Tra questi, andarono ad accrescere la suppellettile astronomica un orologio, donato dal cardinale Giovanni Antonio Davia, ed un cannocchiale di Giuseppe Campani - celebre artefice spoletino di lenti - da 22 piedi (oltre 8 m) di lunghezza focale [scheda 29], dono del cardinale Sebastiano Antonio Tanari (86). Il tubo ottagonale di cipresso e l'o-biettivo del cannocchiale sono attualmente esposti nella "Sala della torretta" di questo museo. L'Accademia, insieme all'Istituto delle Scienze, fu inaugurata il 13 marzo 1714, divenendo ben presto famosa a livello europeo. Fontenelle, nell'elogio di Marsili letto all'Académie des Sciences di Parigi nel 1730, paragona l'istituzione bolognese alla Nuova Atlantide di Bacone, scrivendo:

"Dans ce Palais habitent six Professeurs, chacun dans le quartier qui lui appartient. On croit voir l'atlantide du Chanselier Bacon exécutée, le songe d'un Savant réalisé" (87).
Mentre da una parte, infatti, Marsili conservava ancora una sorta di patriottismo municipalistico per la sua città, dalla cui aristocrazia proveniva, dall'altra la sua formazione cosmopolita lo portava a riconoscere nell'Académie e nella Royal Society i modelli ai quali ispirarsi nell'organizzare la rinascita degli studi sperimentali a Bologna. L'Istituto e l'Accademia delle Scienze di Bologna furono uno dei tentativi più fedeli di riprodurre il modello francese in un diverso contesto, anche grazie allo stretto legame rappresentato da Cassini e ai rapporti personali che intratteneva con Marsili, anche se non mancano riflessi diretti della realtà inglese. Marsili era consapevole del fatto che la sua concezione della ricerca scientifica poteva realizzarsi soltanto attraverso il sostegno organizzato dello stato, ma le condizioni culturali e sociali, della città in particolare e dell'Italia in generale, determinarono la specificità ed i limiti di questa esperienza. Gli inizi, ad esempio, sia per la natura dei modelli che per l'organizzazione, presentano numerosi caratteri baconiani, rilevati anche da Fontenelle. L'Istituto delle Scienze sarebbe stato un'istituzione pubblica e viene ipotizzato un legame stretto tra il lavoro degli accademici e le necessità tecniche degli artigiani; ma nel seguito si perde - o non si realizza - la saldatura con i settori produttivi della società, dove peraltro non hanno nessuna rilevanza i ceti imprenditoriali. Il programma di ricognizione geografica, uno degli argomenti usati per ottenere il beneplacito del pontefice, non fu mai realizzato, né risulta che sia mai stato sollecitato dal governo centrale, che pure utilizzò largamente i migliori matematici dello Studio nella soluzione dei più pressanti problemi di sistemazione idrografica.

Probabilmente l'ottica iniziale di Marsili era esclusivamente privata: la realizzazione di una collezione personale ove dedicarsi agli studi preferiti, una volta abbandonata la carriera militare. Il salto di qualità da qui all'Istituto è, all'epoca, unico in Italia. Parecchie corti avevano raccolte di strumenti scientifici, di norma poco utilizzati, mentre il singolo studioso non aveva più i mezzi necessari alla ricerca. Se la scienza bolognese riuscì nella prima metà del Settecento a mantenersi a livelli europei, ciò fu dovuto non solo a vicende interne alle singole discipline (come la veloce assimilazione della geometria cartesiana, dell'analisi infinitesimale e, più avanti, dell'ottica e della meccanica newtoniane), ma anche al suo alto livello di istituzionalizzazione. Il programma di lavoro dell'Istituto - e quindi della Specola - bandiva ogni ricerca teorica, per ovvi motivi di convivenza con lo Studio, ma poiché i frequentatori dell'uno lo erano anche dell'altro, la divisione non risulta così netta. E' molto più drastica la chiusura ad ogni tema metafisico, forse anche per l'influsso avuto da Geminiano Montanari sui suoi allievi. Limitare la scienza entro confini ben circoscritti evitava, comunque, ogni pericolosa collisione con la teologia, rendendola, anzi, funzionale al rafforzamento della Chiesa. Così l'attività della Specola rimane legata a lavori di astronomia di posizione, trascurando lo sviluppo della nascente meccanica celeste. I contributi più significativi sull'argomento vengono pubblicati, nella seconda metà del secolo, sulla rivista dell'Accademia (i Commentarii) da autori non bolognesi, in particolare il milanese Paolo Frisi (1782-1784), il quale esprime l'opinione che i contributi più spettacolari agli studi astronomici sarebbero venuti dalla teoria e non dalle osservazioni. Frisi non fu l'unico autore di prestigio a pubblicare a Bologna articoli di contenuto astronomico: con lui va ricordato almeno il gesuita ragusano, direttore dell'Osservatorio di Brera, Giuseppe Ruggero Boscovich (1711-1787), testimone dell'apertura culturale e del prestigio dell'istituzione, anche in un periodo di progressivo declino della Specola. Frisi fu anche lettore onorario di Matematica nello Studio (dal 1764 al 1784), ma non vi insegnò mai, come del resto Maria Gaetana Agnesi (1718-1799), che ebbe lo stesso titolo dal 1750 al 1795, per la cattedra di Geometria analitica.

L'edificio che ospitava l'Istituto e l'Accademia delle Scienze, come garantito a Marsili dal Senato bolognese, doveva essere integrato da una torre atta ad alloggiare la "specola". Durante la sua costruzione, gli strumenti astronomici provenienti da quella Marsiliana vennero riposti in una stanza, che si pensa di identificare in una delle stanze site al primo piano dello scalone d'accesso alla torre - la cui porta è murata oggi come allora - e su cui Manfredi suggerì di incidere questa scritta muraria:

"Haec tibi mente dabunt astrorum evolvere cursus organa, sublimi mox statuenda loco".
Quasi sicuramente questa iscrizione non venne poi realizzata - come le altre ordinate dall'Assunteria per tutte le camere dell'Istituto - in quanto non se ne è più trovata traccia alcuna (88). La realizzazione della Specola era elemento fondamentale nel progetto culturale di Marsili. Di tutte le collezioni marsiliane, di cui pure si erano occupati diversi naturalisti, in un primo tempo solo la strumentazione astronomica aveva avuto la possibilità di diventare qualcosa di più di uno strumento personale di ricerca. Questo era stato possibile per il ruolo che Manfredi e Stancari rivestivano nell'Accademia degli Inquieti, ma anche per un preciso progetto del generale. Egli infatti aveva accumulato nel suo palazzo bolognese strumenti e libri, con la precisa intenzione di vederli utilizzati da una accademia, che avrebbe dovuto occuparsi esclusivamente di astronomia e fisica sperimentale. I veri motivi di Ferdinando Marsili, nel cercare di realizzare questo imponente progetto, non sono facilmente analizzabili. Certamente da un lato c'è la sua formazione scientifica nella "propaggine bolognese dell'Accademia del Cimento", dall'altro lato c'è l'esperienza dei suoi viaggi in tutta l'Europa, in particolare in quei paesi dove l'interesse della borghesia per una ricognizione sistematica della natura aveva dato vita alle grandi Accademie. Gli sviluppi successivi dimostrarono i limiti entro i quali questo modello poteva venire riproposto in una differente realtà economica e sociale, oltre che accademica; in particolare erano destinate al fallimento le aspettative di Marsili sulla capacità dell'Istituto di farsi portatore di un rinnovamento nella mentalità della classe politica bolognese e di fornire nuove tecnologie alla sua economia. Simili motivazioni, tuttavia, se possono facilmente venire attribuite allo studio della fisica sperimentale, devono essere più mediate per quanto riguarda l'astronomia. Nei programmi di Marsili per la nuova Specola c'era senz'altro anche un grande interesse per la determinazione astronomica della posizione geografica delle principali città italiane e, quindi, la possibilità di correggere carte sino ad allora approssimative. Si trattava, fra l'altro, di ridisegnare la vecchia cartografia italiana - rimasta all'opera di Giovanni Antonio Magini, pubblicata postuma nel 1620, Atlante geografico di 61 carte denominato Italia - compiendo una vera e propria riforma dell'astronomia, come "hanno fatto i francesi della Francia" e che, secondo Manfredi, "era il frutto principale che si ricava dalle osservazioni astronomiche" (89).

Acquisito dunque il palazzo in cui trasferire le collezioni marsiliane e su cui edificare la Specola, il progetto per la realizzazione della Specola stessa fu commissionato nel 1712 a Giuseppe Antonio Torri (1655-1713), architetto del Reggimento dal 1696 e già in precedenza incaricato da Marsili di reperire l'edificio adatto (90). Praticamente non vi erano all'epoca riferimenti tipologici e costruttivi per un edificio di questo genere, se si eccettua l'ampio edificio dell'Osservatorio di Parigi: le osservazioni si svolgevano quasi sempre in campagna, fuori dalle città, in zone opportunamente predisposte, come Uranjeborg realizzato da Tycho Brahe, o in modeste colline, come l'Osservatorio di Greenwich. Di conseguenza l'architetto Torri, che aveva partecipato alla realizzazione della Specola Marsiliana, discusse a lungo su ogni dettaglio della fabbrica con Manfredi, il quale già dieci anni prima aveva lungamente delineato, nella sua corrispondenza con Marsili, il progetto di un edificio immaginario, modellato per ospitare una strumentazione particolare e talora anche ingombrante (91). I disegni dell'architetto furono inviati a Clemente XI per l'approvazione e si poterono iniziare i lavori. Purtroppo, la morte di Torri nel 1713 e le difficoltà in cui si era trovata l'Assunteria d'Istituto, per l'aumento delle spese di costruzione, fecero cessare i lavori, che rimasero chiusi fino al 1722-23. Scrive Manfredi nel Volume primo del registro delle osservazioni da farsi nell'Osservatorio astronomico dell'Istituto delle Scienze. (92)

"La fabbrica dell'osservatorio dell'Istituto delle Scienze ebbe principio col medesimo Istituto l'anno 1712, ma essendo poi stata per molti anni interrotta, quando non era per anco in istato di servire all'uso di alcuna osservazione celeste, convenne al Professore, nelle occasioni che si presentavano di farne, cercare ora un luogo, ora un altro nel Palazzo dell'Istituto, e talvolta anco fuori di questo, per iscoprire quella parte del cielo che gli occorreva, quindi è che a riserva di qualche eclissi, poco o null'altro gli riuscì in questo tempo d'osservare".
Nel 1720 il conte Marsili ottenne dal Papa altri 15.000 scudi per il completamento dell'Istituto. Essi furono impiegati per estendere le raccolte naturalistiche, completare il gabinetto di fisica e proseguire con la fabbrica dell'Osservatorio. I disegni di Torri non sono mai stati reperiti, ma si può avere un'idea del suo progetto per la Specola sia in una medaglia coniata a Roma da Ermenegildo Hamerani nel 1720, per commemorare la fondazione dell'Istituto delle Scienze, sia nei modelli fatti realizzare all'atto della riapertura dei cantieri, nel 1722, all'architetto Giovan Battista Piacentini, sui disegni di Torri (93). Finalmente, venne incaricato della conclusione dei lavori Carlo Francesco Dotti (1678-1759), architetto e capomastro dell'Istituto. Annota Manfredi nei suoi registri:
"L'anno 1722 si mise mano di nuovo alla fabbrica, si fecero i tre appartamenti della Torre, e questa si alzò fino al piano del primo terrazzo, su cui posa la Torretta; la quale fu poi costruita nel seguente anno 1723, rimanendo tuttavia senza lastrico, e senza parapetto tanto il suo terrazzo, quanto l'altro superiore della Torretta".
Dall'ottobre al dicembre 1724 la torre era stata impiegata per effettuare alcune osservazioni e troviamo nelle note di Manfredi che
"Si interrompono di nuovo le osservazioni per la difficoltà di farle seguitare; non essendo per anco stata assegnata all'Astronomo l'abitazione, e...mancando diversi altri comodi, non essendo per anco situate a luogo le porte e finestre della Torretta".
Fu quindi dato ordine dal Pontefice, Innocenzo XIII (1724);, di curare che la fabbrica dell'Osservatorio fosse conclusa per il 1725, in modo che potesse essere visitata dagli stranieri che si sarebbero recati a Roma per l'Anno Santo (94). Manfredi riuscì allora ad opporsi alla proposta di alcuni assunti, i quali volevano la torre più alta della chiesa di San Pietro in Bologna, il che avrebbe nuovamente rallentato i lavori. La costruzione fu portata a compimento in pochi anni, con alcune modifiche al progetto originario - rialzo di un piano, riduzione della larghezza delle balconate, ecc. - e nel 1727 gli strumenti maggiori dell'Osservatorio Marsiliano vi poterono essere installati. Aveva annotato all'inizio dell'anno precedente Manfredi:
"A dì 29 Aprile 1726 finalmente ebbe l'astronomo il comodo di venir ad abitare nell'Istituto..."
e alla fine dell'anno:
"In questo mese di Dicembre dell'anno 1726 fu compìto tutto ciò che apparteneva alla fabbrica dell'osservatorio. Fu fatto il cancello di ferro all'ingresso della sala o camera della Torretta. Furono murati nei due parapetti superiore, ed inferiore dell'osservatorio i ferri con fori a vite per adattarvi le antenne, o colonnette da reggere, e maneggiare i Cannocchiali lunghi, i quali insieme con gli altri strumenti si cominciarono a portare ed adoprare nella detta Camera. Fu anche compìto il coperto della spaccatura posta in meridiano nella Camera destinata a collocarvi il semicircolo murale, il quale fu collocato appeso ai suoi ferramenti, e furono fatti gli uncini co' maniglioni per aprire e serrare il detto coperto. Parimenti fu fatto e accomodato un portello con suo ferro per maneggiarlo ad uso di coprire, e scoprire il foro che da' il Sole alla meridiana nella detta Camera del Semicircolo, e furono segnate nei due ferri posti a' due capi della detta meridiana due tacche per le quali si stende nel piano del meridiano il filo, a cui si nota l'arrivo e l'esito della specie solare". (95)
Ci vollero, tuttavia, alcuni mesi ancora per sistemare la strumentazione, che era quella dell'Osservatorio Marsiliano integrata dal cannocchiale donato dal cardinale Tanari e del quale abbiamo già detto [scheda 29] e da un orologio, un quadrante, un cannocchiale lungo 13 piedi [scheda 25] ed un telescopio riflettore, sul modello di quello di Newton, donati nel 1725 dal cardinale Davia (96). Attraverso i registri di osservazione e i numerosi inventari presenti nell'Archivio del Dipartimento di Astronomia può essere seguita la storia di questi strumenti. Gli inventari ci mostrano che ne erano stati trasportati nell'Istituto anche alcuni considerati già allora reliquie del passato. In particolare, si legge nell'inventario 1711, il "sextans ligneus, quo Excellentissimus Comes Marsilius utebatur cum primum Astronomicis se studiis exerceret" e lo "instrumentum azimuthale ad altitudines, simulque verticales Stellarum circulos observandos, Norimbergae Anno MDCXCVI fabricatum... Eo Instrumento Marsilius cum de Caelo observationes in castris istitueret, utebatur".

All'astronomo era affidato non solo l'Osservatorio, ma anche la Stanza Militare ed egli era, in particolare, incaricato delle lezioni di Balistica. Si legge, infatti, negli atti della donazione:

"Il governo dell'Osservatorio, e della Stanza Militare, si dovrà dare all'astronomo, che di continuo facci le osservazioni Celesti, secondo l'anno instituto, che sarà stabilito nell'Accademia delle Scienze, e pure alcuni giorni della settimana insegnerà le fortificazioni, ed Artiglieria con gli aiuti degli esquisiti libri, che sono nella libraria, e dei tanti modelli, e cannoni esistenti nella Stanza propria..." (97)
All'inizio l'astronomia occupava solo i quattro piani della torre 98. Nel primo di questi, in cui si trova la stanza dalla quale si accede alla Sala meridiana e l'ambiente adiacente - ora parzialmente occupati dal pozzo dello specchio a tasselli, realizzato in questo secolo da Horn-d'Arturo - dovevano trovarsi gli ambienti di studio dell'astronomo e del suo aggiunto. Nel 1746, nella camera centrale di quel piano erano già custoditi gli antichi strumenti dell'Osservatorio Marsiliano, collocati in disuso nel 1741, con l'arrivo degli strumenti inglesi dei quali diremo in seguito. Vi erano inoltre vari globi terrestri e celesti e le sfere armillari, rappresentanti il sistema dei pianeti (ora esposte nella "Sala dei globi" di questo museo [schede 51-62]). Il piano immediatamente superiore doveva servire di dimora per l'astronomo. Al terzo piano (l'attuale "Sala dei globi") vi erano altri strumenti e cioè una macchina parallattica in ottone, donata da Benedetto XIV nel 1752, il telescopio riflettore donato dal cardinale Davia e due quadranti, uno già dell'Osservatorio Marsiliano e uno donato nel 1728 dal cardinale Albani (99). Nella grande sala interna alla torretta (nell'attuale museo chiamata, infatti, "Sala della torretta") era conservato il quadrante donato da Davia e tutte le suppellettili relative ai cannocchiali lunghi (che oggi vi sono ancora esposti [schede 24-31]), gli obiettivi dei due cannocchiali di Campani, nelle loro montature di legno tornito, quelli di Marco Antonio Cellio (seconda metà XVII sec.) e di Chiarelli, entrambi da 14 piedi (5,4 m) di focale, quelli dei due cannocchiali "germanici" da 8 piedi (3 m), i tubi di latta sui quali questi obiettivi erano utilizzati, le aste di legno per sorreggerli dalla parte obiettiva, i cavalletti da sottoporre alla parte oculare e, infine, vi era come orologio quello cicloidale di Isaac Thuret (?-1706), oggi andato disperso (100).

Più tardi, come ci mostra l'inventario del 1843, l'astronomo doveva già abitare al secondo piano del palazzo, dove prima erano le stanze dell'ottica e dei torni. La stanza centrale al piano superiore, primo piano della torre, era occupata dall'aula arredata con un grande tavolo circondato da nove panche e da una sedia con braccioli, posta su una pedana, per l'insegnante. Al piano superiore vi erano gli ambienti di studio e lavoro. Al terzo piano della torre erano state trasportate "le cose della nautica", inclusi i modelli dei vascelli che ora si trovano nel Museo delle navi di questa Università.


 
  1. - G. Fantuzzi: op. cit. p. 229.
  2. - G. Fantuzzi: op. cit., p. 230.
  3. - G. Fantuzzi: op. cit., p. 231 e lettera XXIX. Detti quadri si conservano ancora nella Pinacoteca Vaticana, mentre alcuni bozzetti preparatori si trovano presso la Pinacoteca di Bologna e presso l'Art Institute di Chicago.
    G. Horn-d'Arturo: 1957, Coelum, XXV, p.1.
    G. Ruggieri: 1957, Coelum, XXV, p.3.
    S.A. Bedini: 1980, in Proceedings of the Eleventh Lunar and Planetary Science Conference, p. XIII.
  4. - G. Fantuzzi: op. cit., p. 238.
  5. - B. Le Bovier de Fontenelle: 1730, Eloge de M. le Compte Marsigli, Hist.Ac.Roy.Sciences (ed. di Amsterdam), p.191.
    "In questo palazzo abitano sei professori, ognuno nei propri appartamenti. Sembra di vedere l'Atlantide del Cancelliere Bacone, il sogno di un sapiente realizzato."
  6. - E. Baiada, F. Di Palma: 1989, Saecularia IX, 9, p. 20.
    "Questi strumenti, che presto saranno trasportati in un posto più elevato, permetteranno alla tua mente di comprendere come si svolge il corso degli astri."
  7. - G. Fantuzzi: op. cit., p. 319 (lettera XXIX di Eustachio Manfredi a Marsili in Roma del 30 agosto 1711).
  8. - F. Ceccarelli e P.L. Cervellati: 1987, Da un Palazzo a una città, il Mulino, Bologna.
  9. - Lettere inviate da Manfredi a Marsili il 24 e il 31 gennaio 1702, Biblioteca Universitaria, Bologna, Mss. Mars. 80a.
  10. - I registri, conservati nell'Archivio del Dipartimento di Astronomia, iniziano con il 5 novembre 1723 e terminano il 30 dicembre 1844.
  11. - D. Lenzi: 1988, Le trasformazioni settecentesche: l'Istituto delle Scienze e delle Arti, in Palazzo Poggi: da dimora aristocratica a sede dell'Università di Bologna, A. Ottani Cavina (a cura di), Nuova Alfa Editoriale, Bologna, p. 64.
  12. - G. Fantuzzi: op. cit., p. 253
  13. - Le "antenne o colonnette", lavorate al tornio, due alte 11 piedi (4,2 m), altre due 8 piedi (3 m), da usarsi accoppiate e fornite dei meccanismi necessari per alzare e abbassare i cannocchiali erano dipinte di verde con venature bianche simulanti il marmo. Esse erano appartenute all'Osservatorio Marsiliano e sono descritte abbastanza estesamente nell'inventario del 1712. Esistevano ancora nel 1843 e furono vendute alla fine del secolo scorso, assieme ad altre suppellettili divenute inutili ed ingombranti, tra le quali vi era un modello in legno della camera meridiana.
  14. - Notizie dell'origine e progressi dell'Istituto delle Scienze di Bologna...: 1780, Bologna, p. 185.
    Secondo G. Fantuzzi - op. cit. p.238 - l'orologio era stato donato nel 1713.
  15. - Arch. Stato Bologna, Fondo Assunteria d'Istituto, Div. 7.
  16. - L'utilizzo dei vari ambienti a metà del Settecento si ricava dall'inventario del 1746.
  17. - Il quadrante è nominato per la prima volta nei registri di osservazione sotto la data del 31 dicembre 1843, ma non si è ritrovato. Così anche la parallattica donata da Benedetto XIV.
  18. - Per le notizie relative a questo orologio si veda E. Baiada, A. Braccesi: 1983, Lo sviluppo della strumentazione astronomica dell'Osservatorio Marsiliano e della Specola dell'Istituto delle Scienze di Bologna dal 1702 al 1815, in Gli strumenti nella storia e nella filosofia della scienza, a cura di G. Tarozzi, Istit. per i beni artist. e cult. della Regione Emilia-Romagna, p. 83.