CANNOCCHIALI E TELESCOPI

In un manoscritto fiorentino del 1289 vengono ricordati alcuni "vetri per occhiali recentemente inventati, di grande vantaggio per la vista indebolita delle persone anziane". Questo conferma come dalla fine del tredicesimo secolo fosse noto l'uso di pezzi di vetro - chiamati "vetri lenticchie" o "lenti", in quanto la loro forma era simile a quella delle lenticchie - per correggere la presbiopia. Il fatto che la vista indebolita delle persone anziane potesse essere aiutata mediante l'uso di queste lenti, di curvatura sempre più accentuata man mano che la persona invecchiava, ebbe senz'altro un notevole impatto sociale, allungando la vita lavorativa di scrivani, studiosi e artigiani.
Bisogna aspettare il Cinquecento, quando - contro l'opinione diffusa tra gli scienziati, secondo cui le osservazioni effettuate attraverso oggetti trasparenti non potevano essere confermate - Giovanni Rucellai (1475-1525), cugino di papa Leone X, userà uno specchio concavo per studiare l'anatomia delle api, descritta poi nel poemetto Le api.
Lo sviluppo della tecnica e il nuovo atteggiamento che si veniva formando verso lo studio della natura portò quindi, alla fine del secolo, all'invenzione del cannocchiale. Dati i precedenti lavori degli occhialai e la semplicità realizzativa di questo strumento - si tratta solo di due lenti tenute una di fronte all'altra - appare, anzi, abbastanza strano come non si sia giunti prima alla sua invenzione.
La frase che si legge nell'opera di Girolamo Fracastoro (Verona c.1478-1553) Homocentricorum sive de stellis liber unus del 1538, "Et per duo perspicilla ocularia, si quis perspiciat altero alteri superposito, majora multo et propinquiora videbit omnia" dimostra, in modo sufficientemente chiaro, come questa idea fosse già nell'aria nella prima metà del secolo e come le mancasse solo poco per poter maturare completamente.
Non è certo chi sia stato il primo a realizzare un telescopio a lenti: fra i nomi che ricorrono vi sono quelli di Zacharias Janssen e di Johann Lippershey, entrambi fabbricanti di occhiali a Middelburg, in provincia di Zeeland. E' certo, invece, che il 2 ottobre 1608 gli Stati Generali dell'Aia ricevettero una petizione di brevetto per trent'anni, per costruire uno strumento "per vedere oggetti lontani come fossero vicini", da parte di Johann Lippershey (Wesel 1560/70 - Middelburg 1619). Il telescopio in questione era costituito da un obiettivo a lente convessa e un oculare a lente concava, aveva un tubo lungo circa 50 cm e un diametro di 3-4 cm e forniva un ingrandimento di appena tre o quattro volte. La richiesta fu, tuttavia, respinta, anche perché contemporaneamente altri occhialai avevano rivolto la stessa istanza.
E' quindi a questa data che si fa risalire l'invenzione del telescopio, anche se il napoletano Giambattista Della Porta (1538?-1615) ne rivendica la paternità, avendo scritto, in un lettera del 1586, "...fare occhiali che possano raffigurare un uomo alcune miglia lontano" e, più esplicitamente, nel De refratione del 1593, "Fiunt imagines ut in aere pendulae videantur, tam clare et perspicue ut nisi manibus tengas vix oculis credas". Anche nella Magiae naturalis libri XX, del 1589, Della Porta aveva parlato di una combinazione di lenti concave e convesse per migliorare la visione a distanza.
Anche se incerta la paternità dell'invenzione, è comunque certa la paternità del primo utilizzo scientifico. Come è noto, infatti, fu Galileo, avendo avuto notizia degli strumenti olandesi, a realizzare un cannocchiale in grado di fornirgli una decina di ingrandimenti - con un campo visivo di alcuni primi d'arco e un potere risolutivo di una decina di secondi d'arco - e a volgerlo per primo al cielo.
Il limite del cannocchiale galileiano - obiettivo convergente e oculare divergente - era dovuto alla diminuzione del campo di vista legata all'aumento degli ingrandimenti. Fu Keplero a descrivere nel 1611, nella Dioptrice, un sistema di lenti in cui l'oculare concavo era sostituito da un oculare convesso. Un limite alle prestazioni era presente anche nel sistema ottico di Keplero, dovuto all'elevata aberrazione cromatica e alla difficoltà di lavorare lenti con lunghezze focali sempre maggiori.
I più importanti costruttori di telescopi nel Seicento e all'inizio del Settecento furono italiani e, tra questi, soprattutto Francesco Fontana (Napoli c. 1585-1656), Eustachio Divini (Roma c. 1620-1685) e Giuseppe Campani (Spoleto 1636 - Roma 1715). La vera e propria competizione che si era instaurata fra gli ultimi due fu praticamente vinta da Campani, soprattutto grazie all'aiuto di Gian Domenico Cassini, allora a Bologna, il quale nel 1665 con i telescopi di Campani scoprì la macchia rossa di Giove, deducendo il periodo di rotazione del pianeta e determinò accuratamente il moto dei satelliti medicei. Nonostante il trasferimento a Parigi, Cassini continuò ad servirsi degli obiettivi realizzati per lui da Campani.
Il vetro utilizzato per questi primi strumenti era di cattiva qualità e soprattutto le aberrazioni, cromatica e sferica, contribuivano a deteriorare le immagini. Nonostante ciò gli astronomi continuarono a richiedere strumenti sempre più potenti. Prima dell'invenzione degli obiettivi a specchio e del perfezionamento del telescopio riflettore, l'aumento della lunghezza focale sembrava l'unica strada aperta al miglioramento del telescopio stesso: il risultato era la realizzazione di tubi tanto lunghi da rischiare di flettersi sotto il loro stesso peso e sostegni sempre più instabili: si realizzeranno, così, tubi di oltre trenta metri, fino al gigantesco telescopio di Hevelius di 45 metri di lunghezza focale e ai cosiddetti "telescopi aerei", di oltre 60 metri, ottenuti semplicemente ponendo l'obiettivo in una posizione elevata e andando a raccogliere l'immagine sull'oculare, senza l'uso di tubi. Il tutto a grosso discapito della possibilità di usare ragionevolmente questi lunghi strumenti.
Un notevole miglioramento delle qualità ottiche degli obiettivi si ottenne solo nel secolo successivo, allorché, nel 1747, Leonard Euler (Basilea 1707-1783) suggerì l'utilizzo di un obiettivo composto da due vetri fatti di paste vitree di diversa dispersione, atte a correggere l'aberrazione cromatica. Il primo a costruire un obiettivo acromatico siffatto fu l'ottico inglese George Bass (c.1733-1769), dietro suggerimento di Chester Moor Hall, che ne aveva trovato il principio nel 1733, prima di Euler, ma colui che ne iniziò una produzione numerosa e di ottima qualità fu John Dollond (Londra 1706-1761) insieme al figlio Peter (Londra 1730-1821) [schede 37 e 38].
Nel 1668 Newton, che aveva negato teoricamente la possibilità di costruire obiettivi acromatici, realizzò il primo telescopio a specchi metallici, ma questa nuova soluzione venne ampiamente adottata solo nel secolo successivo, fino a rimpiazzare i telescopi rifrattori nel XX secolo, dopo che si sostituirono gli specchi metallici con specchi di cristallo, opportunamente alluminati o argentati sulla superficie anteriore, ottenendo così immagini completamente acromatiche e luminose.